“Querida Amazzonia” ogni giorno un pensiero dall’esortazione apostolica di Papa Francesco – 28 marzo

63. L’autentica scelta per i più poveri e dimenticati, mentre ci spinge a liberarli dalla miseria materiale e a difendere i loro diritti, implica che proponiamo ad essi l’amicizia con il Signore che li promuove e dà loro dignità. Sarebbe triste che ricevessero da noi un codice di dottrine o un imperativo morale, ma non il grande annuncio salvifico, quel grido missionario che punta al cuore e dà senso a tutto il resto. Né possiamo accontentarci di un messaggio sociale. Se diamo la nostra vita per loro, per la giustizia e la dignità che meritano, non possiamo nascondere ad essi che lo facciamo perché riconosciamo Cristo in loro e perché scopriamo l’immensa dignità concessa loro da Dio Padre che li ama infinitamente.

64. Essi hanno diritto all’annuncio del Vangelo, soprattutto a quel primo annuncio che si chiama kerygma e che «è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra». È l’annuncio di un Dio che ama infinitamente ogni essere umano, che ha manifestato pienamente questo amore in Cristo crocifisso per noi e risorto nella nostra vita… Questo annuncio deve risuonare costantemente in Amazzonia, espresso in molte modalità diverse. Senza questo annuncio appassionato, ogni struttura ecclesiale diventerà un’altra ONG, e quindi non risponderemo alla richiesta di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15).

69. Pertanto, «come possiamo vedere nella storia della Chiesa, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale» e «non renderebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde». Tuttavia, il rischio per gli evangelizzatori che arrivano in un luogo è credere di dover comunicare non solo il Vangelo ma anche la cultura in cui essi sono cresciuti, dimenticando che non si tratta di «imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica». Occorre accettare con coraggio la novità dello Spirito, capace di creare sempre qualcosa di nuovo con l’inesauribile tesoro di Gesù Cristo, perché «l’inculturazione impegna la Chiesa su un cammino difficile ma necessario». È vero che «benché questi processi siano sempre lenti, a volte la paura ci paralizza troppo» e finiamo per essere «spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa». Non abbiamo timore, non tagliamo le ali allo Spirito Santo!

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