IV domenica di quaresima. Riflessione ed esortazione apostolica “Querida Amazonia” di papa Francesco

“Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo”.

Gv. 9,1-40

Ci sono momenti nella vita in cui sprofondiamo nella notte, uno stato in cui la tenebra contraddistingue le nostre scelte, il nostro percorso. Possiamo anche far finta di niente ed illuderci che vada tutto bene, ci si abitua presto all’assenza della luce. Oggi però, nel percorso di purificazione che è la Quaresima, parliamo di illuminazione: siamo ciechi e Cristo è la luce. Come il cieco è un uomo abituato a convivere con le tenebre e con il giudizio dei suoi concittadini, anche noi spesso siamo attenti a comportarci come gli altri vorrebbero per meritarci attenzione e approvazione.  E’ Gesù che vede il cieco e inizia una serie di gesti che gli restituiscono la vista; è sempre Gesù che legge nei nostri cuori e ci guida alla conversione.. L’illuminazione avviene per gradi, ma inizia sempre con un incontro e quando diventiamo discepoli non siamo più le persone di prima. Il Signore ci cerca sempre, prende l’iniziativa, ci insegue, ci raggiunge, se solo lo desideriamo.

“Ero cieco e ora ci vedo”.

Signore continua a rischiarare le nostre tenebre,

guarisci la nostra cecità e aiutaci ai vivere come figli della luce,

perché i nostri occhi scorgano il mondo in modo nuovo

e le nostre labbra professino la fede e testimonino la speranza.

ESORTAZIONE APOSTOLICA “QUERIDA AMAZONIA” di papa Francesco

Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici.(I parte)

La Chiesa è chiamata a camminare con i popoli dell’Amazzonia. Di fronte a tanti bisogni e tante angosce che gridano dal cuore dell’Amazzonia, possiamo rispondere a partire da organizzazioni sociali, risorse tecniche, spazi di dibattito, programmi politici, e tutto ciò può far parte della soluzione. Ma come cristiani non rinunciamo alla proposta di fede che abbiamo ricevuto dal Vangelo. Pur volendo impegnarci con tutti, fianco a fianco, non ci vergogniamo di Gesù Cristo…è inevitabile parlare di Lui e portare agli altri la sua proposta di vita nuova.

L’autentica scelta per i più poveri e dimenticati, mentre ci spinge a liberarli dalla miseria materiale e a difendere i loro diritti, implica che proponiamo ad essi l’amicizia con il Signore che li promuove e dà loro dignità. Essi hanno diritto all’annuncio del Vangelo, soprattutto a quel primo annuncio che si chiama kerygma, l’annuncio di un Dio che ama infinitamente ogni essere umano, che ha manifestato pienamente questo amore in Cristo crocifisso per noi e risorto nella nostra vita. Da un lato, una dinamica di fecondazione che consente di esprimere il Vangelo in un luogo, d’altra parte, la Chiesa stessa vive un percorso ricettivo, che la arricchisce di ciò che lo Spirito aveva già misteriosamente seminato in quella cultura. Per ottenere una rinnovata inculturazione del Vangelo in Amazzonia, la Chiesa ha bisogno di ascoltare la sua saggezza ancestrale, tornare a dare voce agli anziani, riconoscere i valori presenti nello stile di vita delle comunità originarie, recuperare in tempo le preziose narrazioni dei popoli. In questo contesto, i popoli indigeni amazzonici esprimono l’autentica qualità della vita come un “buon vivere” che implica un’armonia personale, familiare, comunitaria e cosmica e si manifesta nel loro modo comunitario di pensare l’esistenza, nella capacità di trovare gioia e pienezza in una vita austera e semplice, come pure nella cura responsabile della natura che preserva le risorse per le generazioni future. I popoli aborigeni potrebbero aiutarci a scoprire che cos’è una felice sobrietà e in questo senso hanno molto da insegnarci.  La Chiesa stessa può essere un veicolo in grado di aiutare questo recupero culturale in una valida sintesi con l’annuncio del Vangelo.

Allo stesso modo, il rapporto con Cristo, vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore, non è nemico di questa visione del mondo marcatamente cosmica che caratterizza questi popoli, perché Egli è anche il Risorto che penetra tutte le cose.L’inculturazione della spiritualità cristiana nelle culture dei popoli originari trova nei Sacramenti una via di particolare valore, perché in essi si incontrano il divino e il cosmico, la grazia e il creato. Nell’Eucaristia Dio unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato.Questo ci consente di raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell’esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura e stimolare espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli. I Sacramenti mostrano e comunicano il Dio vicino che viene con misericordia a guarire e fortificare i suoi figli. Pertanto devono essere accessibili, soprattutto ai poveri, e non devono mai essere negati per motivi di denaro. Neppure è ammissibile una disciplina che escluda e allontani, perché in questo modo essi alla fine vengono scartati da una Chiesa trasformata in dogana.

La pastorale della Chiesa ha in Amazzonia una presenza precaria, dovuta in parte all’immensa estensione territoriale con molti luoghi di difficile accesso, alla grande diversità culturale, ai gravi problemi sociali, come pure alla scelta di alcuni popoli di isolarsi. Questo non può lasciarci indifferenti ed esige dalla Chiesa una risposta specifica e coraggiosa.Occorre far sì che la ministerialità si configuri in modo tale da essere al servizio di una maggiore frequenza della celebrazione dell’Eucaristia, anche nelle comunità più remote e nascoste…è importante determinare ciò che è più specifico del sacerdote, ciò che non può essere delegato. Nelle circostanze specifiche dell’Amazzonia, specialmente nelle sue foreste e luoghi più remoti, occorre trovare un modo per assicurare il ministero sacerdotale. I laici potranno annunciare la Parola, insegnare, organizzare le loro comunità, celebrare alcuni Sacramenti, cercare varie espressioni per la pietà popolare e sviluppare i molteplici doni che lo Spirito riversa su di loro. Ma hanno bisogno della celebrazione dell’Eucaristia, perché essa fa la Chiesa.Questa pressante necessità mi porta ad esortare tutti i Vescovi, in particolare quelli dell’America Latina, non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia. Nello stesso tempo, è opportuno rivedere a fondo la struttura e il contenuto sia della formazione iniziale sia della formazione permanente dei presbiteri, in modo che acquisiscano gli atteggiamenti e le capacità necessari per dialogare con le culture amazzoniche. Questa formazione dev’essere eminentemente pastorale e favorire la crescita della misericordia sacerdotale.

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