I domenica di quaresima. Riflessione ed esortazione apostolica “Querida Amazonia” di papa Francesco

I DOMENICA di QUARESIMA

                1 marzo 2020

«Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”»

«Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”»

«Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”»


Matteo 4, 1-11

Il diavolo crea in noi e tra noi divisione: è la divisione che nasce dal desiderio sfrenato di beni materiali (pane), è la divisione che nasce dall’evitare ogni fatica a discapito degli altri (pietra), è la divisione che nasce dall’ambizione di ottenere potere e gloria (mondo). Gesù, vero uomo e fratello, ha sperimentato anche queste divisioni e per quaranta giorni, solo e lontano da tutti e da tutto, si è cibato della Parola del Padre per ritrovare l’unità e l’armonia con se stesso e con la realtà. E’ nell’incontro con la Parola e  nell’ascolto autentico e profondo delle Scritture che noi ci riconosciamo, che comprendiamo la nostra vera identità superando la tentazione della divisione. 

Il Signore manda angeli ancora, in ogni casa,

a chiunque non voglia accumulare e dominare:

sono quelli che sanno inventare una nuova carezza,

hanno occhi di luce, e non scappano.

Sono quelli che mi sorreggeranno con le loro mani,

instancabili e leggere, tutte le volte che inciamperò.

Ermes Ronchi

ESORTAZIONE APOSTOLICA “QUERIDA AMAZONIA” di papa Francesco

L’amata Amazzonia si mostra di fronte al mondo con tutto il suo splendore, il suo dramma, il suo mistero. L’Amazzonia è una totalità multinazionale interconnessa, un grande bioma condiviso da nove paesi. Tuttavia, indirizzo questa Esortazione a tutto il mondo per aiutare a risvegliare l’affetto e la preoccupazione per questa terra che è anche “nostra” e invitarli ad ammirarla e a riconoscerla come un mistero sacro; l’attenzione della Chiesa alle problematiche di questo luogo ci obbliga a riprendere brevemente alcuni temi che non dovremmo dimenticare e che possono ispirare altre regioni della terra di fronte alle loro proprie sfide

Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa.

Il nostro sogno è quello di un’Amazzonia che integri e promuova tutti i suoi abitanti perché possano consolidare un “buon vivere”. Ma c’è bisogno di un grido profetico e di un arduo impegno per i più poveri. Infatti, benché l’Amazzonia si trovi di fronte a un disastro ecologico, va rilevato che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri. 

Gli interessi colonizzatori che hanno esteso ed estendono – legalmente e illegalmente – il taglio di legname e l’industria mineraria, e che sono andati scacciando e assediando i popoli indigeni provocano una protesta che grida al cielo. Questo ha favorito i movimenti migratori più recenti degli indigeni verso le periferie delle città. Lì crescono la xenofobia, lo sfruttamento sessuale e il traffico di persone. Per questo il grido dell’Amazzonia non si leva solamente dal cuore delle foreste, ma anche dall’interno delle sue città. È noto infatti che dagli ultimi decenni del secolo scorso l’Amazzonia è stata presentata come un enorme spazio vuoto da occupare, come una ricchezza grezza da elaborare, come un’immensità selvaggia da addomesticare. Tutto ciò con uno sguardo che non riconosce i diritti dei popoli originari o semplicemente li ignora, come se non esistessero, o come se le terre in cui abitano non appartenessero a loro. Alle operazioni economiche, nazionali e internazionali, che danneggiano l’Amazzonia e non rispettano il diritto dei popoli originari al territorio e alla sua demarcazione, all’autodeterminazione e al previo consenso, occorre dare il nome che a loro spetta: ingiustizia e crimine. Bisogna indignarsi. Non è sano che ci abituiamo al male, non ci fa bene permettere che ci anestetizzino la coscienza sociale.

Nel momento presente la Chiesa non può essere meno impegnata, ed è chiamata ad ascoltare le grida dei popoli amazzonici per poter esercitare in modo trasparente il suo ruolo profetico. Al tempo stesso, poiché non possiamo negare che il grano si è mescolato con la zizzania e che non sempre i missionari sono stati a fianco degli oppressi, me ne vergogno e ancora una volta chiedo umilmente perdono, non solo per le offese della Chiesa stessa, ma per i crimini contro i popoli indigeni durante la cosiddetta conquista dell’America e per gli atroci crimini che seguirono attraverso tutta la storia dell’Amazzonia. Ringrazio i membri dei popoli originari e dico loro nuovamente: Voi con la vostra vita siete un grido rivolto alla coscienza. Voi siete memoria viva della missione che Dio ha affidato a noi tutti: avere cura della Casa comune.

La lotta sociale implica una capacità di fraternità, uno spirito di comunione umana. I popoli originari dell’Amazzonia possiedono un forte senso comunitario. Essi vivono così il lavoro, il riposo, le relazioni umane, i riti e le celebrazioni. Tutto è condiviso. La vita è un cammino comunitario dove i compiti e le responsabilità sono divisi e condivisi in funzione del bene comune. Non c’è posto per l’idea di un individuo distaccato dalla comunità o dal suo territorio. Questo moltiplica l’effetto disintegratore dello sradicamento che vivono gli indigeni che si vedono obbligati a emigrare in città, cercando di sopravvivere, a volte anche in maniera non dignitosa, tra le abitudini urbane più individualiste e in un ambiente ostile. Come sanare un danno così grave? Come ricostruire quelle vite sradicate? Non possiamo escludere che membri della Chiesa siano stati parte della rete di corruzione, a volte fino al punto di accettare di mantenere il silenzio in cambio di aiuti economici per le opere ecclesiali.

L’Amazzonia dovrebbe essere anche un luogo di dialogo sociale, specialmente tra i diversi popoli originari, per trovare forme di comunione e di lotta congiunta. Dovremmo farlo prima di tutto con gli ultimi. Essi non sono interlocutori qualsiasi, che bisogna convincere, e nemmeno un convitato in più ad una tavola di pari. Essi sono i principali interlocutori, dai quali anzitutto dobbiamo imparare, che dobbiamo ascoltare per un dovere di giustizia e ai quali dobbiamo chiedere permesso per poter presentare le nostre proposte.

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